Policastro Bussentino è una frazione del comune di Santa Marina, si estende lungo la costa del Golfo omonimo a breve distanza dalla foce del Bussento. E' una delle mete più frequentate dal turismo balneare, caratterizzata da un pregevole centro storico di età medioevale.
Nel centro storico svettano la cattedrale di Santa Maria Assunta col suo antico campanile che è uno dei monumenti più antichi non solo della Campania ma di tutta Italia.
Il duomo di Policastro e concattedrale della diocesi Teggiano-Policastro, è stato dichiarato monumento storico dal 1927. Completamente restaurato qualche anno fà ed è inserito nell'ottavo itinerario giubilare della Campania (Salerno, Paestum, Capaccio, Vallo della Lucania, Teggiano, Padula e Policastro).
Altrettanto rilevante è il Campanile romanico, costruito nel 1167 per volere di re Guglielmo II e ampliato nel XIV secolo; il Castello di Policastro costruito dai Bizantini nel VII sec. d.C. e le mura di cinta di epoca greca, 471 a.C. che documentano le diverse fasi storiche intorno al centro abitato.
Tipico di questa zona è un ortaggio rarissimo ovvero la melanzana rossa, grande come una mela e rossa come un pomodoro. In realtà è una melanzana particolarissima importata dalle coste dell’Africa alla fine dell’ ottocento. Ha un gusto piccante e non annerisce dopo il taglio, a differenza della classica melanzana.
Strabone scrive che il promontorio, il porto e il fiume di Pixunte hanno lo stesso nome, segnalando, come Diodoro, che l’abitato era stato fondato da Micito quando, tutore dei figli di Anassila, governava Reggio e Messina (476-472 a.C.). E’ certo però che nel luogo esisteva un abitato enotrio, prima della colonizzazione greca, da collocarsi in età ancora più antica, se oggi non si esclude che avesse subito anche le influenze di Siri alla ricerca di un sicuro sbocco tirrenico ai suoi traffici.
Certo è che le sue monete incuse vennero battute tra la seconda metà del VI e i primi del V secolo a.C. come si evince dal toro sibaritico e la leggenda Sirino-Pixoes che attesta anche una simmachia con Sirino, città che se non ricorda Siri non doveva esserle molto lontana. Ma, se la costituzione geologica del suolo contribuì al formarsi ivi di un seno naturale, nel secondario, l'interrimento dei porti iniziatosi nel VI secolo a.C., venne favorito nel luogo dal succedersi di notevoli eventi alluvionali.
In quanto al toponimo è da presumere che la collina, per la ricchezza ovunque di bossi nel suo territorio, avesse preso il nome di Pixous (dove abbonda quel sempreverde).Silio Italico ci informa della partecipazione alla battaglia di Canne (2 agosto 216 a.C.) dei bussentini che non temevano di affrontare con nodosi bastoni il nemico armato di lance e di spade. Al pari di Velia, Policastro non fu mai in possesso di Annibale. Da Livio si apprende delle deduzioni di colonie a Policastro, tra cui una di 300 famiglie. Nel 186 il console Spurio Postumio riferì al Senato di aver trovato deserta la città che venne poi (89 -87 a.C.) ascritta alla tribù Pomptina.
Dopo la riforma di Diocleziano, anche il territorio di Bussento venne attribuito al Bruzio. La tradizione informa dell'elevazione della città a diocesi per fondazione, come quelle di Velia e di Vibone, da parte dell'apostolo Paolo (ma discepoli), in quanto sede di distretto politico-amministrativo.
Ne è menzione nella nota lettera «Quoniam Velina» di Papa Gregorio Magno al vescovo pestano Felice, rifugiatosi, come si è detto, nella bizantina Agropoli per sfuggire all’irrompere delle orde longobarde di Zotone. Con essa il grande Papa invitava il vescovo a visitare Velia, Policastro e Blanda prive di pastori, a ripristinarvi il culto e a tenerle in amministrazione apostolica, giurisdizione che, dopo l'ultimo vescovo Sabbazio (a. 640) continuò ad essere mantenuta, salvo un brevissimo periodo nell'Xl secolo, dai vescovi pestani fino ai primi del XII secolo. Sulla trichora bizantina di Paleocastro del VI secolo venne poi costruita la cattedrale romanica, propriamente dove era l'antico forum romano.
Il 22 ottobre del 1067 l'arcivescovo Alfano di Salerno, con i poteri conferitigli (bolla 24 marzo 1058) da Papa Stefano IX (o, secondo una diversa numerazione, X), ricostituì la diocesi di Policastro ampliandone i confini.Come si è ampiamente mostrato altrove il territorio compreso tra l'Alento e il Bussento era stato sempre tenuto dal «sacro palatio», dal governo salernitano, alle sue dirette dipendenze.Nell'Archivio cavense vi sono alcuni documenti riguardanti Policastro, tra cui l’importante vendita di un censile del 1136 che ci informa di Landolfo, «olim domini de Policastro». Nel mese di marzo dello stesso anno a Policastro, Gemma, figlia del fu Leone, detto Maiozza, insieme al marito Nicola figlio di Bonifacio, alla presenza del giudice Pietro, «de civitate paleocastro» vendettero al fratello di Gemma, Giovanni, la metà di un castagneto fuori della città di Salerno per 10 soldi di tarì salernitani.
Nello stesso Archivio vi sono pure altri quattro documenti del '300 riguardanti Policastro.La ricostruzione dell'abitato di Policastro fu intensificata ai tempi di re Ruggiero (mura, castello) e completata nel XIII secolo. Pare che la locale contea fosse stata concessa da re Ruggiero al suo figlio bastardo Simone. Questo conte di Policastro era tra i più potenti feudatari normanni del Principato. Era nipote della regina Adelaide, della stirpe Aleramica, vedova di Ruggiero I, il Gran Conte, che nel 1113 sposò Baldovino I, re di Gerusalemme. Simone, quindi, era anche parente di re Guglielmo I. Nel 1155 il re era a Salerno.
Nell’anno 1290 il re concesse a Guglielmo Pellegrino e a Leonardo di Alatri, in porzioni uguali, il feudo di Sanza in premio per quanto avevano fatto per il ritorno di Policastro in potere sovrano. Nello stesso anno il conte d'Artois, preoccupato delle condizioni economiche di Policastro, i cui abitanti non avevano di che nutrirsi, ordinò l'acquisto di frumento, orzo e miglio per l'ammontare di 180 once d'oro da trasportare e vendere ai locali.Il 12 settembre 1292, da S. Erasmo, il principe Carlo concedeva a «Benetenutum de Policastro» 4 once d'oro per aiutarlo a liberare «quorundam filiorum suorum, quos eorumdem hostium carcer includit».
Il 21 maggio 1293 il principe ordinava che con le tasse di Policastro si dovevano pagare le spese per la difesa della città. Il 5 febbraio 1294, da Napoli, si ordinava al capitano di Policastro di esigere i diritti della bagliva e delle gabelle. L'11 maggio 1294, da Napoli, re Carlo concesse un assegno annuo di 8 once d'oro al vescovo di Policastro per i danni subiti, somma da prelevarsi dai proventi della dogana di Amalfi. In quello stesso giorno il re ordinava agli esattori dei diritti di dogana di Amalfi di versare ogni anno al vescovo di Policastro 8 once d'oro, a compenso dei danni subiti, consacrando l'ordine in pubblico istrumento. Il 26 aprile 1296, da Napoli, si ordinò al castellano di Castel Capuano di mandare balestre e quadrelle ai castelli di Policastro e di Roccagloriosa.
A Policastro, oltre quella di S. Giovanni a Piro, vi era una grancia di S. Lorenzo di Padula. Nel locale porto, come da quello di Agropoli e della «maritima Pestarum», veniva stivato il grano per Genova dai mercanti che ne acquistavano nei luoghi della piana dei locali conti.Come ho già detto nel 1455 il primo ministro di re Ferrante d'Aragona, Antonello de Petruciis, aveva acquistato Rofrano e nel 1471 S. Giovanni a Piro, Torre Orsaia, Bosco e S. Mauro la Bruca, riunendo tutti questi feudi nella contea di Policastro che aveva acquistato per 12.000 denari, alla quale poi, con il consenso del re, associò il figlio Giovanni Antonio.Va ricordato che nel tardo '400 il castello di Policastro venne ricostruito su disegno di Giuliano Fiorentino.
Il re poi nominò il ministro amministratore regio di Novi, baronia che venne poi subito acquistata da Antonello, con Gioi e Mandia. Ma quando re Ferrante ebbe il sospetto che Antonello fosse partecipe della congiura dei baroni, ne ordinò l'arresto, sostituendolo nell'ufficio con l'elegante poeta latino Giovanni Pontano. Non contento di aver fatto decapitare il ministro (piazza Mercato, 11 maggio 1487), il re fece torturare i figliuoli, obbligando l'ultimo figlio di Antonello, Giovan Battista arcivescovo di Taranto, a rinunciare alla diocesi (a. 1489) privandolo pure delle badie di S. Giovanni a Piro e di S. Maria di Pattano che vennero concesse poi al bastardo suo figliuolo Alfonso che ne conservò le rendite fino al 1499.
Dell'avocazione alla Corona dei beni di Antonello approfittarono i fratelli Carrafa. Giovanni Carrafa, vice-cancelliere del re, acquistò Rofrano, Alfano e Policastro, Carlo comprò Campora e Antonio prese Castelnuovo. Il titolo di conte venne concesso da re Ferdinando nel 1496 a Giovanni Carrafa. Ai primi del 1507 nacque a Roberto (II) Sanseverino l'erede che, in omaggio allo zio re di Spagna, venne chiamato Ferrante. II 28 febbraio il re concesse a Roberto, tra l'altro, anche il diritto di tutte le tratte da Salerno a Policastro e la gabella della seta dal Sele a Policastro, di cui Roberto nominò esattore Petrino de Magnia della baronia di Cilento.
Il feudo era ancora tenuto dalla famiglia Carrafa nel '600, quando (16 gennaio 1625) venne concesso a uno di esso il titolo di duca sulla terra di Fòrli. Ettore Carrafa, che al titolo di duca aveva unito il titolo di principe del S.R. Impero (13 ottobre 1708), ne era ancora in possesso nel 1725. Alla sua morte (1428) i suoi titoli e beni passarono al figliuolo Gerardo (m. 16 giugno 1764) che aveva sposato la parente Ippolita Carafa, unica figlia di Domenico che da re Carlo III aveva ottenuto (17 marzo 1738) il titolo di duca delle Chiuse. Anche questo, con i predetti titoli, passò all'unica figlia Teresa che sposò il congiunto Gennaro Carafa, principe di Roccella, vedovo di Silvia Ruffo. Il 3 ottobre 1770 Teresa ebbe intestato Policastro con titolo di conte, Fòrli con titolo di duca (trasferito su Ispani).
LATITUDINE: 40.0738704
LONGITUDINE: 15.522135700000035
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